23 novembre 1943: la deportazione della comunità ebraica di Gorizia

Nel 1930 confluirono nella comunità di Gorizia le comunità di Udine e di S.Daniele, troppo piccole per reggersi autonomamente. Nel 1931 risiedevano 288 ebrei in città per un totale comunitario di 323 persone.
Nel 1938 la situazione cambiò prendendo una svolta drammatica. A seguito dell’emanazione delle leggi razziali venne ordinato dalla prefettura il censimento della popolazione ebraica cittadina, dando così via alle persecuzioni nei loro confronti. Fu proibito l’esercizio di alcune professioni, come quella medica, permessa prima solo all’interno della comunità, ma poi vietata completamente. E dal dolore morì uno dei medici più noti e ricordati
della città, Silvio Morpurgo Successivamente venne impedito di detenere attività commerciali. Altri imprenditori dovettero intestare ad altri la propria ditta, come dovette fare Attilio Morpurgo, titolare di una ditta di alimentari
all’ingrosso. Anche gli insegnanti e gli studenti vennero allontanati dalle scuole di Stato. Persino la via dedicata ad Ascoli cambiò nome in via Tunisi. Dato che il censimento comprendeva non solo i residenti, ma anche coloro che risultavano ebrei stranieri avendo preso la cittadinanza italiana dopo il 1 gennaio 1919 vennero radiati dall’albo due medici, uno di origine ungherese, il dott. Birò, e una di origine rumena, la dott.ssa Goldstein.
Nel 1942 venne emanata la legge che obbligava gli ebrei al lavoro coatto. A Gorizia gli uomini furono destinati alla Segheria Crocetti, a Salcano e le donne al confezionamento di divise militari.
8 settembre 1943: con l’armistizio la situazione cambiò completamente. Dopo l’occupazione nazista venne creata, da ottobre, la zona di operazioni detta Adriarisches Kunsterland (Litorale Adriatico), sotto il diretto controllo tedesco. I territori di frontiera, fra cui Fiume, Trieste, l’Isontino e Udine col loro retroterra istriano e friulano erano stati ceduti dalla RSI ai nazisti. Nella zona si diffonde la lotta partigiana. Alcuni appartenenti alla comunità goriziana si erano già allontanati dalla città, chi nascondendosi sotto falsa identità, chi nelle fila dei partigiani, come i fratelli Giacomo e Tullio Donati, che sacrificheranno la propria vita per la libertà nella resistenza.
12 settembre 1943: quella domenica le truppe tedesche entrano in città e vengono accolte in corso Verdi dall’applauso di tanti goriziani, fatto unico tra le città dell’Italia settentrionale occupate dai nazisti.
23 novembre 1943: quelle stesse truppe applaudite due mesi prima, utilizzando i dati del censimento e le delazioni (5.000 lire se uomo e 3.000 se donna), eseguirono la retata che distrusse completamente la comunità ebraica deportando 73 persone ad Auschwitz; il più giovane aveva 3 mesi e il suo nome era Bruno Farber, a cui oggi è dedicato il giardino adiacente. Solo due ragazzi lui di 17 e lei 22 anni fecero ritorno. Le retate si svolsero in più giorni aiutate dal locale Partito fascista e nell’isontino anche dalla Decima Mas addetta al lavoro sporco dai Nazisti e i cui superstiti vengono accolti a braccia aperte dal centro destra in Municipio.
Nel 1945, alla fine della guerra la comunità contava solo 12 persone delle 201 presenti nel 1938. L’88a Divisione Americana ‘I diavoli blu’ acquartierata all’attuale Scuola d’arte, contando al suo interno numerosi ebrei, riaprì la Sinagoga al culto con il rabbino militare Nathan Barak.
Nel 1969 la comunità, fino a quel momento autonoma, ridotta a poche persone venne aggregata alla comunità ebraica di Trieste.
Ma rimangono oggi da visitare i luoghi in cui questa comunità visse e operò: la Sinagoga, il ghetto e il cimitero ebraico di Valdirose.

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