un colloquio con Marco Rossi, consigliere comunale e capogruppo del PD
Nei mesi scorsi, dopo un intervento del deputato Pettarin, il quotidiano IL PICCOLO ha ospitato un lungo dibattito sulla proposta di trasformare Gorizia e Nova Gorica in una città unica. Quali i passi concreti e possibili per intraprendere quella strada?
A mio giudizio il tema della “città unica” non dovrebbe essere argomento di divisione politica ma di unità di intenti. Invece la destra ha subito alzato le barricate. Peccato! Il confine, infatti, dovrebbe semplicemente sparire. È un problema tecnico-giuridico: come fare, con quali strumenti, con che tempi. Ben consapevoli che stiamo parlando di inventare qualche soluzione giuridica per un’area a cavallo tra due Stati sovrani. Però non c’è alcun dubbio che in prospettiva il confine deve sparire.
Ma è qualcosa giuridicamente tutta da costruire?
Ci vorrebbe una specie di “Osimo 2”, un nuovo accordo internazionale bilaterale, come fu quello firmato nel 1975. Un nuovo accordo contrassegnato da un fortissimo spirito europeista che dica “nessun confine”, di cui peraltro la Commissione europea potrebbe essere garante e mediatrice. C’è, ovviamente, un consenso politico e diplomatico da costruire tra due Paesi, cosa non semplice perché non sempre le esigenze delle popolazioni di confine sono comprese nelle “capitali”, ma prima ci deve essere una forte unità di intenti nelle istituzioni di Gorizia e Nova Gorica. Devo dire che quello attuale è un momento felice perché dal Presidente Mattarella e dal Presidente sloveno, Borut Pahor, sono arrivate parole molto nette a favore della cooperazione bilaterale che mostrano una forte conoscenza del nostro territorio.
Però almeno in larga parte la città unica è già penetrata nella testa e nella quotidianità di molti.
Certamente e le restrizioni dovute al coronavirus hanno reso più evidente come le due città sono ormai intrecciate da mille rapporti e da mille interessi, anche piccoli ma quotidiani e continui e interdipendenti. Qualcuno potrebbe dire che la fine del confine ha messo in crisi l’economia confinaria. Certo, ma era un processo irreversibile nell’Europa del XXI secolo e semmai ci si dovrebbe domandare se tutti gli attori politici ed economici hanno fatto la loro parte se la città non è ancora riuscita a trovare vie di sviluppo alternativo: io, da capogruppo del Partito Democratico, non posso che esprimere un giudizio molto severo, in questo senso, rispetto a chi ha governato la città dal 2007 ad oggi, cioè nel periodo in cui si sarebbe dovuta trovare una via di sviluppo alternativa.
Come muoversi nel prossimo periodo, insomma “che fare”?
Occorre, come prima fase, superare le barriere giuridiche che ci sono tra i due Stati (legislazioni diverse, etc) creando un regime giuridico tutto straordinario: oggi diverse potenzialità – ad esempio la sanità transfrontaliera o la pianificazione urbanistica congiunta – sono ancora frenate da barriere normative che continuano a dividere un “di qua” e un “di là”. Non è cosa da poco. La città unica è una grande opportunità perché un assetto straordinario potrebbe permetterci di prendere il meglio della legislazione dei due Paesi e, quindi, renderci molto più competitivi. Ricordiamoci che Gorizia e Nova Gorica, insieme, fanno 70 mila abitanti circa. Una bella città, con territori di riferimento attorno ai 250 mila abitanti: sappiamo bene che salto di qualità si farebbe se la città unita avesse popolazione, risorse economiche, visibilità e rilevanza istituzionale raddoppiate!
Nuova Zona Franca, Zona logistica speciale, Zona semplificata …
Bisogna recuperare l’articolo 108 del Trattato di associazione della Slovenia alla Unione europea, che prevedeva l’istituzione di una Zona franca (nulla a che vedere con la “vecchia” Zona franca). Se ne discusse degli anni ‘90, come mi ha ricordato il prof. Benedetti con il quale, ancora nel 2019, insieme a Franco Perazza, avevamo approfondito il tema. Sarebbe il naturale complemento della Zona Logistica Speciale che, piano piano, compie il suo iter (troppo piano!). E unirebbe sul piano economico il territorio frontaliero.
E sul bilinguismo o perlomeno sulla diffusione delle due lingue di qua e di là del confine?
Un altro passo importante sarebbe lavorare sul “bilinguismo passivo” fra le giovani generazioni. Mi conforta che questo tema sia un elemento importante della candidatura a Capitale europea della cultura e che un’importante apertura fosse già arrivata dall’ex ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, in visita a due istituti goriziani a gennaio 2015.
Ma cosa intendi con “bilinguismo passivo”?
Per bilinguismo passivo si intende la capacità almeno di comprendere la lingua parlata dall’altro: in pratica, ognuno è libero di continuare a parlare italiano o sloveno, e viene compreso dall’altro. La memoria goriziana ci racconta che era quanto avveniva a inizio Novecento nel nostro territorio. Il tema non è affatto banale perché, oggi, diamo per scontato il fatto che gli abitanti di Nova Gorica capiscano l’italiano, ma le giovani generazioni sono più interessate a parlare inglese, e rischiamo quindi che tra vent’anni la mutua intellegibilità tra le popolazioni delle due città si sia addirittura ridotta!
Ma l’obiettivo, certo, dev’essere una città unica. Non è un’utopia, è l’unica strada possibile e credo che come Partito Democratico si debba prendere un’iniziativa politica in tal senso.